-
"VAI A BAGGIO A SUONARE L'ORGANO!"
Milano è una città sempre più cosmopolita, abitata e visitata da persone provenienti da tutto il mondo che arricchiscono il capoluogo lombardo con idiomi, costumi e tradizioni diverse da quelle tipiche locali. Il carattere internazionale della città meneghina è evidente se si pensa al dialetto milanese, oramai custodito da pochi: nel tempo si è "diluito" e fatica a restare tra i patrimoni culturali trasmessi alle generazioni future.
Qualche anziano parente o conoscente, nato e cresciuto a Milano quando ancora non era la metropoli che conosciamo oggi, ci può aiutare a recuperare quella memoria storica di un epoca in cui la comunicazione avveniva principalmente in dialetto. È così possibile riscoprire anche gli antichi modi di dire milanesi che parlano di luoghi, figure e di una Milano non completamente sparita.
Uno di questi detti ci porta a Baggio, Bagg in dialetto, quartiere situato nella zona ovest di Milano, una volta piccolo borgo sulla strada per Magenta. È un'area principalmente agricola, tuttora ricca di cascine e circondata da uno tra i più grandi polmoni verdi della città, il Parco delle Cave.
Perché parliamo di Baggio?
Perché è proprio qui che nasce l'antica e tipica espressione milanese, "Va' a Bagg a sonà l'òrghen" ("Vai a Baggio a suonare l'organo"), l’equivalente di "Vai a farti un giro" (o altro), usato per liberarsi (in modo più o meno cortese) da millantatori o scocciatori.
La leggenda popolare che dà origine al detto, racconta che la piccola chiesa parrocchiale di Sant'Apollinare a Baggio, nel 1865 fu ristrutturata e ampliata, poiché ormai insufficiente per poter accogliere tutta la comunità. Furono raccolti i fondi non solo per ingrandirla, ma anche per dotarla di un magnifico organo. Purtroppo, quando i lavori si avviavano verso la conclusione, si verificò un imprevisto: tutti i soldi erano terminati prima di aver potuto comperare l'organo. Per non deludere i parrocchiani, si ricorse allora al trucco che ha poi reso Baggio protagonista del proverbio: un pittore dipinse un bell'organo a canne su un muro interno della chiesa.
I curiosi che volessero andare a visitare la Chiesa Vecchia di Sant'Apollinare - in via Ceriani 3 - per ammirarlo, rimarrebbero delusi perché negli anni la chiesa è stata completamente ristrutturata e dell'organo dipinto non è rimasto nulla se non nelle narrazioni popolari.
È possibile però leggerne il racconto, in dialetto milanese, sulle sei targhe in ceramica collocate proprio accanto all'antica chiesa. Una di queste recita:
La nòstra gesètta l'è pòvera, 'me tücc numm, che pòdom minga permèttes nanca on strasc de organin, almen adèss ghe l'avarèmm pitturaa sùl’ mur.
(La nostra chiesetta è povera, come tutti noi, tanto che non possiamo neppure permetterci uno straccio di organetto, almeno adesso l’abbiamo dipinto sul muro).
Come sempre il confine tra realtà e leggenda è labile, ma questo non fa che aumentare la curiosità per il motto e il famoso organo dipinto.
Indietro